giorno della memoria - immagine del Corriere del 1938

Perché è necessario che il Giorno della Memoria sia ogni giorno

Quando si parla di Giorno della Memoria occorre ricordare qualcosa di fondamentale. Essa riguarda il popolo ebraico, perché non vi sono stati casi analoghi, nella storia, di consapevole volontà metodica di annientare un popolo nel rispetto delle leggi. Molti genocidi sono avvenuti nella storia dell’uomo e tutti vanno ricordati. Nessuno ha avuto il fine “razionale” e premeditato di sradicare totalmente e globalmente un popolo dai geni umani, dalla storia del mondo, per legge. Se pensiamo al genocidio delle popolazioni indigene americane, ai massacri coloniali, all’occupazione belga del Congo, ai gulag sovietici, alla Cambogia, agli armeni o alle popolazioni balcaniche e italiane di Istria e Dalmazia, al Ruanda e a molti altri casi, potremo riscontrare efferatezze simili, massacri ingenti nelle proporzioni, violenze inenarrabili, risultati raccapriccianti.

La soluzione finale

Tuttavia Himmler, Eichmann e gli altri architetti della “soluzione finale”, non erano assassini. Erano uomini di legge e di cultura, senza turbe psichiche, né eccessivi nel loro fanatismo. A tavolino si misero a studiare freddamente mezzi, strumenti e tecniche per eliminare nel modo più rapido ed efficiente milioni di persone, nel 1942. Erano in una bella villa di campagna, fuori Berlino. Nel suo insieme, l’antico fenomeno antisemita europeo, fu un “di più”, rispetto ai piani tecnico-scientifici di Himmler. Himmler e Eichmann erano intimamente convinti di “dare una mano all’evoluzione”. Himmler si “lamentava” della necessità del suo lavoro, nelle sue lettere alla famiglia. Eichmann, quando fu arrestato in Argentina, disse di aver solo un rimpianto, di non essere riuscito a fare meglio nei suoi calcoli. Come se parlasse di un “compito di matematica” andato male.

La Banalità del Male

Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca, scrisse nella “Banalità del male” che Eichmann era niente più che un “contabile solerte”. Imre Kertesz, un altro sopravvissuto all’olocausto, premio Nobel per la Letteratura, disse sempre provocatoriamente che la sua domanda era “perché non prima?” Nella sua lettura dell’olocausto infatti Auschwitz era una dichiarazione dell’umanità intera. Non era un momento della storia, iniziato e finito lì con Hitler e il nazismo. Era qualcosa che è sempre stato in agguato e sempre può tornare. Nulla di più pericoloso di un progresso tecnologico ingovernato, accanto a un impoverimento delle relazioni umane e sociali, del dialogo interiore e della coscienza di sé. Per questo non si può tollerare nel discorso pubblico mai un abbassamento della soglia del dicibile su questi temi. Non si può accettare di subire informazioni senza documentarsi consapevolmente.

“Meditate che questo è stato”

Dice Primo Levi nella poesia che apre “Se questo è un uomo”: “meditate che questo è stato”, non dimenticatevelo e ripetetevelo! È accaduto non per un momento di sanguinosa follìa o barbarie, ma con l’uso distorto della tecnologia: camere a gas, forni moderni, sperimentazioni mediche, schede perforate che permisero l’archiviazione di milioni di dati sugli schiavi numerati dell’universo concentrazionario. Questo dovrebbe farci fermare un attimo, nell’epoca in cui si può persino insinuare che il “Diario” di Anna Frank sia un falso, in cui mai nessuno come oggi ha a disposizione tanti media per sobillare queste idee, falsificare e mistificare la storia. Il Giorno della Memoria, stabilito dall’ONU e ratificato dai Parlamenti degli stati UE, è il 27 gennaio, data della liberazione del lager di Auschwitz, nel 1945, da parte dei russi. È la data che dal 2005 ci fa ricordare anche le enormi responsabilità mondiali, non solo tedesche. Responsabilità anche nell’insabbiamento di crimini e criminali, occultamento, giustificazionismo, riduzionismo.

Le responsabilità nazionali

Furono tanti delatori comuni e spesso le stesse forze dell’ordine nazionali ad arrestare e consegnare gli ebrei, nei vari paesi. Furono i miliziani italiani a liquidare i ghetti nelle città italiane, a partire da quello di Roma, il 16 ottobre del 1943. Fu il re Vittorio Emanuele III a firmare le leggi razziali, nel 1938. Fu Gaetano Azzariti (poi giudice della nostra Corte Costituzionale), ministro della Giustizia del governo Badoglio, ex giudice del Tribunale della Razza, a non ordinare la distruzione degli elenchi degli ebrei nelle prefetture, nei due mesi che trascorsero dall’arresto di Mussolini alla fuga del re a Brindisi. 7.500 furono gli ebrei italiani sterminati. La maggior parte dei campi di sterminio si trovava fra Polonia, Bielorussia e Ucraina. I più famigerati non esistono manco più, rasi al suolo nella fuga. Ma Fossoli e la Risiera di San Sabba, sono stati campi italiani.

La rara solidarietà internazionale

Non solo tedeschi quindi e non solo ungheresi, croati, rumeni, polacchi, ucraini, bosniaci, cecoslovacchi e lettoni e lituani hanno avuto responsabilità nello sterminio degli ebrei europei. Solerti carnefici e delatori sono stati in Olanda, in Francia, in Austria, in Belgio, in Italia, in Grecia. Solo i danesi risultano innocenti in Europa, essendo stato l’unico paese, pur essendo piccolo e occupato, a organizzare una fuga di massa della sua piccola popolazione ebraica, nottetempo, verso la Svezia. Ogni danese con una barca, piccola o grande, si occupò di questa operazione spontanea e popolare. In tutto il mondo, dal 1938, solo la Repubblica Dominicana si dichiarò disponibile ad accogliere senza oneri 100.000 profughi ebrei, ma era lontana. Nessun altro paese, dalla Gran Bretagna, agli Stati Uniti, alla Svizzera, all’Australia, all’Unione Sovietica, offrì asilo e rifugio agli ebrei, a meno che non fossero disposti a pagare molto denaro o fossero rinomati e titolati uomini di scienza.

Si dà il caso che la maggior parte degli ebrei appartenessero al ceto medio e medio-basso, a dispetto degli stereotipi ancor oggi diffusi. La quasi totalità degli ebrei ucraini e bielorussi, i più numerosi e che potrebbero essere più dei noti 6 milioni, vivevano in popolosi remoti e poverissimi villaggi emarginati (chiamati shtetl). Scomparvero a Majdanek, Sobibor, Treblinka o nei loro villaggi trasformati in fosse comuni per uomini e donne di tutte le età e bambini. Oltre a “Ogni cosa è illuminata”, un altro film “Train de vie” li ricorda, un film vagamente surreale come “La vita è bella”, che senza credere di poter riprodurre l’inferno, attraverso la commedia e l’assurdo di una “bugia”, fa intuire l’abisso che nasconde.

Chi salva una vita salva il mondo intero

Tutti quindi fecero la loro parte nell’antisemitismo europeo e mondiale, in maniera attiva o nell’indifferenza, anche dopo che, nel 1943, i partigiani polacchi Karski e Pilecki resero noto alle potenze alleate quello che succedeva nei campi di sterminio. Lo Yad Vashem, il museo della memoria israeliano, riserva il riconoscimento speciale di Giusto fra le Nazioni, a chiunque nel mondo abbia salvato almeno un ebreo dallo sterminio, perché secondo il Talmud chi salva una vita, salva il mondo intero. I Giusti riconosciuti sono quasi 27 mila in tutto il mondo e 694 sono italiani. Alcuni giusti italiani, come il commerciante Giorgio Perlasca o il gelataio Francesco Tirelli operarono fuori dai confini nazionali. Liliana Segre è una delle ultime sopravvissute italiane e dal 2018 è senatrice a vita nel nostro Parlamento.

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