Quando impariamo una nuova lingua è necessario che immettiamo le nostre informazioni nella memoria stabile, e non in quella “lavoro”.
Regressione
Io credo che, avere informazioni che solitamente sono date agli insegnanti, sia necessario nel nostro lavoro di studenti per imparare ad apprendere. Ed è per questo che oggi indugio in un argomento che a me piace ma che forse alcuni di voi trovano noioso : la memoria.
Perché non mi ricordo ciò che ho studiato?
Spesso le informazioni che penso di incamerare vengono depositate nella memoria lavoro, molto limitata nel tempo e quando dico limitata sono seria, intendo un paio di secondo.
Se devo impegnarmi a studiare una nuova lingua, devo trovare strategie significative. Insomma, le informazioni devono essere fruibili anche dopo un paio di secondi.
Una raccomandazione utile è quella di organizzare le informazioni in chunks, ovvero frammenti significative per me. Devono divenire da unità di parole “unità di significato”.
Questo nella speranza che dalla “memoria lavoro” cadano a capofitto nella memoria a breve termine, ancora una struttura di superficie. La memoria a breve termine, come dice la parola stessa, dura poca e accomoda le informazioni basandosi su quello che già possiede.
Questo tratto può presentare delle controindicazioni soprattutto per la pronuncia: insomma se dobbiamo pronunciare la parola inglese “bin”, la ricordiamo con la pronuncia italiana della nostra “i”.
A mio avviso, comunque, avere già questa informazione in sé stessa è un passo in avanti.
Infatti ci rendiamo conto dell’interferenza e delle problematiche che ne possono derivare: una volta che sappiamo dove si potrebbero creare problemi possiamo intervenire per prevenirli.
Dal punto di vista di un insegnante (che sono stata e tutt’ora sono) la traccia mnestica presenta una problematica. Questa va affrontata non solo per il caso della singola parola. Quando si impara una nuova lingua bisogna impostare un nuovo sistema linguistico.
Sarebbe bene fare questo lavoro a regola d’arte da subito: insomma prevenire è meglio che curare.
In ogni caso sia l’insegnante che lo studente devono puntare alla memoria a lungo termine, il terzo livello, che si divide in memoria enciclopedica (il mondo) e memoria semantica (collegata con la lingua da come si intuisce dalla terminologia usata.
La memoria semantica interpreta e memorizza la lingua.
I trucchetti per ricordare ci vengono dall’Antica Grecia: il famoso filosofo Aristotele sosteneva che si ricorda per associazioni.
Un accenno alla filosofia… ecco … – confesso – l’ho ficcato in questo post perché questa branca di studi è stato il mio primo amore. Devo qui dire che oltre Aristotele anche mia nonna sosteneva lo stesso: “associa e ricordi!” (Vi risparmio gli esempi, anche se divertenti).
Insomma secondo Aristotele e mia nonna si ricorda per associazione e contrasto ed io concordo. Almeno è una tecnica che uso di sovente.
La glottodidattica dice qualcosa di più specifico però. Le associazioni vanno bene se c’è uno sforzo attivo da parte dello studente nel ricordare.
Detto in poche parole per memorizzare dobbiamo faticare.
Non ci voleva la glottodidattica a dircelo.
Questa disciplina, però, ci specifica come dobbiamo sforzarci: apprendere deve essere un progetto, ovvero dobbiamo voler immettere in memoria.
Quindi ci vuole una riflessione su quello che apprendiamo.
Meno facciamo i pappagalli, maggiore è la riflessione e maggiore è la modifica.
Il lessico va nella memoria semantica ma noi non apprendiamo una lista di parole senza contesto. Per ricordarci le parole devono essere viste in un contesto, che può essere di vari tipi: situazionale, i termini relativi al cibo si memorizzano all’interno del contesto pasto, cioè all’interno di una situazione specifica, poi vi è il contesto culturale.
E su questo concetto devo spendere a few words. Voi sicuramente sapete che il pomodoro è un frutto e non è verdura. Bene, io l’ho imparato in tarda età, perché il contesto culturale italiano lo considera verdura.
E da quando ho scoperto che è un tipo di frutto accetto ben volentieri la pizza all’ananas. Ricordiamo, dice lo studioso californiano Krashen, se non c’è un “filtro affettivo” ad impedircelo.
Detto in poche parole, ricordiamo se non ci troviamo in una situazione spiacevole. Anche una situazione di sfida che ci impedisce di ricordare.
L’ansia e la paura ci fanno rilasciare steroidi causa di una lotta ghiandolare che rallenta l’attività nell’area neo-frontale del cervello.
Insomma quando c’è stress non impariamo: quindi se vediamo che l’atmosfera a lezione è poco accogliente forse sarebbe conveniente e più fruttuoso cambiare corso.
Quando acquisiamo nuove informazione le dobbiamo accomodare in una rete già esistente e questo costa fatica: a livello biologico si attua un vero e proprio ridisegno delle sinapsi. A questo non si può aggiungere anche una lotta fra ghiandole che vanifica tutto il nostro lavoro.
Per imparare ci vuole fatica e sforzo e quindi ci vogliono delle strategie che ci aiutino nel nostro percorso.
Prima di tutto, c’è il modello egodinamico, il nome dice tutto veramente. Ogni persona ha un progetto di sé e, se in questa progettualità di vita, rientra l’imparare una lingua, il tutto dovrebbe risultare più facile.
Vi è però un altro punto da prendere in considerazione: i risultati. Se i risultati iniziali sono deludenti ed i costi da pagare troppo alto allora il progetto di vita ci fa un baffo! Detto in altre parole il modello egodinamico è nei guai. Cosa dobbiamo fare in questo caso, bene non mirare mai troppo in alto: un passo alla volta ci porta alla meta.
Chi ha studiato marketing forse conosce il modello tripolare.
Vi sono tre cause che governano l’agire umano, o, meglio, che possono giocare con i livelli di motivazione.
Iniziamo dal dovere.
Il dolore fa restare le informazioni nella memoria a medio termine. Causa filtro affettivo, ovvero non si fanno le cose con piacere ma con stress.
Se il dovere si trasforma in senso del dovere, si è motivati e si acquisisce. Il secondo fattore nel modello tripolare è il bisogno, legato all’emisfero sinistro del cervello. Quindi alla parte razionale e analitica. Il bisogno sicuramente è motivante e si impara quando diviene la spinta principe delle nostre azioni, però i bisogni cambiano e quindi anche le motivazioni.
Il fattore principale è il piacere!
Impariamo le lingue quando ci piace studiarle anche per motivi che possiamo trovare “lì per lì” futili, come un insegnante che costruisce le lezioni in maniera divertente.
Inoltre le attività devono essere piacevoli da terminare, nel senso né troppo difficili né troppo facili, ma al giusto livello di difficoltà. Infatti quando un compito è troppo difficile si fallisce e il dispiacere provoca una caduta a picco della motivazione.
Questo non vuol dire che non si deve sbagliare, ma l’errore deve essere presentato non come una punizione divina ma come parte del processo di imparare.
L’errore deve essere studiato così si capisce dove potersi migliorare. Inoltre il piacere è dato anche dalla varietà. Insomma, quelle classi dove ogni giorno si fanno le stesse cose, le stesse tipologie di esercizi sono super noiose e certo non creano motivazione.
Poi ci vuole un poco di movimento, un imprevisto accattivante, non il piattume che danno certi corsi.
La sfida è un punto a sé stante. Ce ne vuole un pochino, soprattutto se è contro se stessi. E in questo caso è meglio preparare esercizi che lo studente può correggersi da solo come il cloze (frasi o testi con parole mancanti di solito).
O gli esercizi ad incastro in modo che non vi sia il confronto con l’insegnante che non sempre può essere carino. Vi è anche il piacere della sistematizzazione, capire come funzionano le cose a livello linguistico e sistemarle nei nostri reparti mentali. Con me funziona tantissimo: è lo stesso piacere che provo a sistemare i cassetti quando ho tutte belle cose da ordinare.
In ogni caso, già con il pensiero di Krashen, ci è chiaro che le emozioni giocano un ruolo fondamentale nel momento di apprendere. Quindi, non bisogna trascurarle.
Come genitore cercherei di capire come si è trovato a scuola mio figlio, se la maestra gli sta simpatica oppure no e se crea un clima sereno per la classe. Schuman, altro glottodidattica, afferma che valutiamo e apprezziamo allo stesso momento e questo processo non va sottovalutato.
Si chiama appraisal in inglese.
Dopo l’appraisal, selezioniamo quello che vogliamo e allochiamo piacere e quindi motivazione al nostro studio.
Per quanto riguarda i bimbi, non va mai dimenticata la sicurezza psicologica. Se i bambini non si sentono sicuri (dall’altro canto come i grandi) non apprendono.
Ecco, anche per oggi ho finito.
Spero che troviate i miei post interessanti e soprattutto utili.
Sia che siate genitori o nonni o che siate in procinto o nel mezzo di un apprendimento linguistico.
Articolo scritto da Barbara Gabrielli Renzi, scrittrice, pittrice, insegnante e terapeuta specializzata in Cognitive Behavioural Therapy.
Autrice per il Blog di Donne che Emigrano all’Estero.
Se volete leggere altri suoi articoli, questa è la sua pagina.