Il gruppo vive in Sicilia e fa musica piena di contaminazioni e riferimenti culturali.
Le vostre origini italiane, la cultura del vostro Paese quanto hanno inciso nella vostra carriera professionale?
Sì, sicuramente. Come tante rock band avremmo potuto benissimo scrivere i nostri testi in inglese, invece, abbiamo sempre preferito mantenere le nostre origini italiane e siciliane. Innanzitutto perché, così facendo, risultavamo più credibili. Riteniamo infatti sia importante potersi esprimere nella propria lingua. In realtà, ci siamo addirittura spinti oltre decidendo di realizzare un brano in siciliano dal titolo “Ruggine” dedicato ai “Malavoglia” di Verga proprio per rendere omaggio al nostro patrimonio culturale, che è infinito. È stato un esperimento tra dialetto siciliano e musica folk che è stato pubblicato durante il periodo del Covid.
Inoltre abbiamo scritto anche un testo in italiano su Mario Rapisardi ispirandoci alla sua opera “Il lucifero”. La canzone si intitola “Impura poesia”. Credo che pochissimi sappiano chi è Rapisardi: si tratta di un grandissimo poeta catanese a cui è stato anche intitolato uno dei viali più grandi della città. Ce lo hanno invidiato in tutta Europa, poi è stato attaccato dalla Chiesa che lo ha bandito dai testi letterari.
Secondo voi l’Italia è ancora un Paese meritocratico per quel che concerne la musica? Quali potrebbero essere gli effetti collaterali del non avere persone di qualità nel mondo dello spettacolo?
Assolutamente no. L’Italia è un Paese che si è adattato alla “nuova cultura del mercato discografico” ovvero: più hai il portafoglio grosso, più vai avanti. Se hai alle spalle qualcuno che investe su di te, arrivi indipendentemente che tu sia bravo o meno.
Oggi, tutto è finalizzato più all’immagine che ai contenuti. C’è più la voglia di “distruggere” nella musica piuttosto che “di creare”. Non esiste più quel desiderio di “fare arte”. Chiunque va bene. Tutto è basato sull’investimento, ogni cosa è trattata in modo manageriale, quello che conta è solo il risultato.
Una volta si cercava un artista particolare, si investiva su di lui perché si credeva in quel “prodotto”. Oggi, il marketing insieme al gossip costruiscono l’artista a discapito dell’arte. Tutto questo è molto triste.
Per quel che riguarda la questione legata agli effetti collaterali nel non avere professionisti di qualità direi che li stiamo già vivendo. Siamo una società allo sfacelo e io, sinceramente, è da anni che non ascolto più la musica che propongono le varie radio in quando queste ultime dovrebbero elargire cultura e civilizzare le masse in qualche modo invece che “imbarbarirle”. Questo mezzo di comunicazione che dovrebbe diffondere cultura in realtà offre spazzatura.
La musica italiana piace ancora all’estero? Secondo voi quale peculiarità fa sì che si distingua nel panorama internazionale e mondiale?
La musica italiana piace all’estero ma bisogna dire che non è quella moderna. Rimaniamo basiti quando, ad esempio, scopriamo che Pupo fa ancora concerti in Russia come anche Al Bano o Amedeo Minghi. Sono cantanti che hanno segnato un periodo storico della musica sincero. Quando un artista fa musica in un contesto del genere ci sono meno costrizioni.
Noi, oggi, per realizzare un album spesso siamo soggetti a tante limitazioni e per quanto un artista possa avere la propria personalità deve adattarsi a queste logiche altrimenti non “passa” in radio. Purtroppo è come se chiedessimo a Van Gogh di non disegnare più i girasoli ma piuttosto delle rose che sono “più di moda”… così facendo però Van Gogh non sarebbe l’artista che noi tutti conosciamo.
Le peculiarità che permette alla musica italiana di distinguersi è il fatto che sia la patria del “bel canto”. Ad esempio il tenore Jonathan Cilia Faro sta facendo proprio questo: portare questo tipo di musica in America. Il rock che fa la mia band, è un rock italiano, non è paragonabile a quello internazionale ed è difficile forse da esportare in quanto è un genere a sé.
Sognate di portare la sua musica all’estero? Perché?
Il nostro sogno non è tanto quello di andare all’estero quanto di poter continuare a fare quello che facciamo e non è facile perché è proprio il mondo circostante che crea tantissimi limiti. Il riuscire a fare carriera dipende dalla disponibilità finanziaria dell’artista.
Comunque se riuscissimo ad andare fuori dalla penisola saremmo felici, ma ci basterebbe anche solo poter suonare in tutta Italia. I nostri sogni non sono così “arroganti”. Attraverso la musica vorremmo semplicemente trasmettere il nostro pensiero, toccare l’anima delle altre persone, renderle felici.
Oggi però ci siamo adeguati alla realtà. I produttori prima di proporci qualche cosa anche all’estero sono più interessati a capire da quanti follower siamo seguiti e quanti soldi siamo disposti ad investire.
Quali sono state le principali difficoltà che ha dovuto superare per diventare un artista affermato in Italia?
I soldi sono stati la prima difficoltà anche se in realtà io li considero un danno per l’umanità. In più di vent’anni di esperienza posso dire che la vera difficoltà è stata trovare delle persone che la pensassero come me, delle mosche bianche perché, oggi, quando un musicista viene a chiedermi di suonare nella band la prima domanda che mi pone è: “Quanto sarò pagato?”. Io penso, invece, che bisogna fare musica perché ci fa stare bene, poi naturalmente se si guadagna qualche cosa ben venga, fa piacere. Secondo me è importante fare musica perché si crede in quello che si fa, si ha qualche cosa da dire e tutto questo non è facile. Per questo motivo ho cambiato spesso i miei musicisti. Inoltre ci piacerebbe trovare un produttore che ci dia fiducia, che investa maggiormente su di noi.
Come artisti quali sono ancora i vostri sogni nel cassetto?
Il sogno nel cassetto è quello di poter continuare a fare quello che facciamo, cercare di arrivare a più persone possibili. Non c’è la finalità di diventare star. Poi certo, non siamo ipocriti, ci piacerebbe poter vivere di musica, alzarci la mattina sapendo che siamo in giro per il mondo. Io, ad esempio, ho iniziato a far musica perché sognavo di viaggiare, vedevo le carriere dei grandi artisti, i loro concerti, i loro tour, i palchi. Nel nostro piccolo, sinceramente, non ci possiamo lamentare. Vorremmo solo poter amplificare le emozioni che la musica ci regala.
Se potesse duettare con un artista del passato, chi sceglierebbe e per quale motivo? (italiano o estero)
Io ho due miti che mi hanno aperto la strada e spinto a fare questa vita e sono: Freddie Mercury e Steven Tyler. Quando sono sul palco anche io utilizzo la mezza asta proprio come il leader dei Queen. Poi all’asta lego dei foulard che sono invece dedicati a Steven Tyler, il cantante degli Aerosmith. Mi ricordo che da bambino vidi un video di questo gruppo e dissi: “Voglio essere così” anche se all’epoca ero un bambino molto timido, introverso, quasi non parlavo. Pensi che mia madre ha scoperto per caso da un’amica che sapevo cantare e mi esibivo. Mi vergognavo di dire che facevo il cantante, che avevo una band.
Secondo voi, oggi, ci sono ancora autori e/o compositori italiani che rappresentano il vero “Made in Italy” o anche le nostre canzoni stanno semplicemente diventando un prodotto commerciale ad uso e consumo delle mode?
Ci sono tanti artisti bravi anche in questa “bolgia infernale” che è il mercato italiano. Ma si tratta di artisti usa e getta e dubito che, tra vent’anni, saranno ancora in voga. È molto più facile, invece, che si ascolteranno ancora i Queen, i Beatles, i Nomadi, la PFM, insomma di artisti che hanno detto qualche cosa. Poi è vero che esistono anche dei “prodotti usa e getta” che sono fatti anche bene ma purtroppo continueranno a rimanere tali e in automatico si elimineranno da soli. Devo dire che sono felice che all’estero ci apprezzino ancora come la “patria del bel canto”, di “O sole mio”, dei grandi compositori come Verdi, Puccini, Bellini. Un po’ mi vergogno quando esportiamo la musica moderna italiana.
Il Maestro Jonathan Cilia Faro che l’ha nominata da sempre sostiene l’importanza della meritocrazia e della filantropia nel campo musicale. Attualmente qual è il cantante che lei stima maggiormente e in che cosa secondo lei contribuisce a dare lustro all’Italia?
Dei cantanti moderni purtroppo non mi piace nessuno. Jonathan Cilia Faro invece sta facendo delle cose molto belle in giro per il mondo. Con lui ci incontreremo a luglio. Per me questo tenore pop è diventato quasi un modello in quanto è partito dalla Sicilia ed è riuscito a realizzarsi. “Lo invidio” nel senso che è riuscito a fare delle cose che sarebbero piaciute anche a me. Forse lui è stato “più avvantaggiato” rispetto a me in quanto ha scelto “il bel canto”, la musica classica. Io facendo rock e in più italiano mi sento più limitato, faccio un genere che non piace a tutti.
Parlando di meritocrazia e di filantropia, secondo lei tra le giovani promesse, quale artista credete meritino di poter emergere? Per quale motivo?
Ci sono diversi artisti che ci piacciono ma non li possiamo definire giovani promesse come ad esempio Elisa, Mengoni, la Pausini che hanno alle loro spalle anni di carriera.
Tra le giovani promesse non vediamo spiccare nessuno in particolare, non perché pensiamo che non esistano ma perché hanno un linguaggio che è troppo lontano dalla nostra concezione di musica.
A seguito della vostra esperienza, a suo giudizio, è più facile collaborare con altri artisti italiani o è più stimolante farlo con cantanti stranieri?
Quando facciamo i live amiamo creare collaborazioni con altri artisti, condividere il palco, è nella nostra natura. Inoltre adoriamo le contaminazioni, sono davvero stimolanti.
Quali sono a suo giudizio le caratteristiche principali che deve avere un artista per poter affermarsi in Italia? È sufficiente il talento?
Il talento è importante ma se alle spalle non ci sono persone in grado di credere in te e che siano disposte a fare investimenti importanti, questo talento morirà tra le mura della sala prove.
Che progetti avete per il prossimo futuro?
Innanzitutto fare un nuovo album. L’ultimo è uscito un anno fa ed è sempre una bella emozione mettere in un lavoro un segno tangibile di quello che si è e che si è fatto. Inoltre vorrei cercare di fare molti live, salire sul palco, sentire il contatto con il pubblico e stare in questo mondo da protagonista.