Nelle prime battute del film, A Black Jesus di Luca Lucchesi, due ragazzi, sono sulla spiaggia di Siculiana Marina e una racconta all’altro (più o meno) sai qui hanno un Cristo nero e lo amano. Amano un pezzo di legno nero, ma non amano allo stesso modo le persone nere. I due ragazzi ridono. I due ragazzi sono africani. È casuale. Com’è casuale essere di qualsiasi colore. Essere nati dall’altro lato del mediterraneo. Sulla spiaggia sottolineano un controsenso, uno dei centinaia di controsensi, che animano la nostra società.
I temi affrontati dal film documentario A Black Jesus
Si fa presto a dire ‘accoglienza’, integrazione, il vero mare da attraversare è come rendere queste parole azioni concrete, fatti. A Black Jesus è ambientato in un paese dell’agrigentino. Siculiana. È il luogo dove è nato Gaetano Lucchesi, il padre di Luca. È qui il regista torna, adesso marito e padre, per ritrovare parti di sé. Per raccontare un futuro possibile e osservare quello che ha davanti.
A Siculiana hanno trasformato, non senza difficoltà, un hotel in un centro di accoglienza: Villa Sikania. Un professore, Alessandro Tedesco, insegna Italiano L2 alle persone sbarcate. Giovani africani riempiono le strade del paese per riempire di senso le infinite ore vuote di attesa.
Siculiana, il paese dove è stato girato A Black Jesus
Siculiana è un luogo di eterni ritorni. Molti siculianesi sono emigrati nel Nord Europa alla ricerca di lavoro e guadagno. In queste dinamiche, dove prosperano paure, difficoltà e piccole incomprensioni, Edward, un ragazzo ghanese di 19 anni, frequenta la messa ogni sera e si appassiona al rito annuale del Cristo Nero. La festa del Santissimo Crocifisso, la processione, è un momento di profonda commozione per l’intera comunità, che affida al Santo ‘a prumissa, il più intimo dei desideri. Il rito diventa una occasione per specchiarsi gli uni negli altri.
Edward chiede e ottiene di poter portare in spalla la vara, il simulacro del Santo, compito di norma affidato ai ragazzi siculianesi. Nelle battute finali. In un tripudio di giochi di fuoco, folla e rosso dei fazzoletti, Edward procede con il Cristo Nero in spalla. E non può crederci. Lo dice al cielo stellato. Sono io, qui sotto.
A prumissa non sappiamo qual è. Qualche giorno dopo il Sikania viene chiuso e lui trasferito. E se pur A Black Jesus si chiuda con un punto interrogativo, si lascia dietro una lucente scia di speranza e supera l’ironia delle battute iniziali. Perché Edward supera le diffidenze e vuole restare a Siculiana, lo dice con decisione.
Abbiamo incontrato il regista Luca Lucchesi, che ha trascorso le vacanze in Sicilia. Qui con la moglie Hella Wenders (il film è prodotto da Wim Wenders) e i figli. Amorevole, rilassato e attento. Luca non si lascia scappare una sola emozione da vivere, nella sua terra, con i suoi affetti. Credo che il film celebri il valore dell’incontro e mostri piani differenti. Siamo abituati a vedere le persone migranti in altri contesti, soprattutto subordinati e lavorativi. In emergenza, sbarchi, esodi. In A Black Jesus scatta qualcosa di differente. Di profondamente vero e spiazzante.
La lettera di Luca Lucchesi
Luca Lucchesi qualche anno fa, chiamò a raccolta i siculianesi con una lettera aperta, scaricabile dal sito del Comune di Siculiana, che in uno stralcio dice:
Da molti anni coltivo l’idea di realizzare un film che racconti Siculiana nei suoi molteplici aspetti. Mai come questa estate ho sentito così impellente il bisogno di cristallizzare in un ritratto i luoghi dei ricordi legati a mio padre. Mi sono detto: se non ora quando. Vorrei, con tutta umiltà, riuscire a raccontare un anno nella vita di Siculiana in un film documentario che abbia l’ambizione di essere fortemente attrattivo per il pubblico europeo.
Non sarà un film a senso unico ma un progetto “corale” che darà la possibilità allo spettatore di immergersi realmente nella vita quotidiana dei siculianesi, con i loro tesori e le loro difficoltà, le loro tradizioni e la loro rabbia, il loro amore per la terra e la loro storia di migrazione, in arrivo e in partenza (…) Non un film ‘su’ Siculiana quindi, ma un film ‘con’ Siculiana”.
Luca Lucchesi, nel film usi uno sguardo discosto, racconti le attese, le ore trascorse in aula a imparare l’italiano, le sigarette fumate, le telefonate con il cellulare, il modo di vivere la fede. Come è nato questo approccio?
È sempre facile parlare di un film quando è finito. Quando il processo, come nel caso di A Black Jesus oggi che mi fai questa domanda, si è già da tempo concluso. Oggi ti saprei dare una risposta; potrei mentire e affermare che era proprio il mio obiettivo, rallentare, fino a congelare, il tempo e lo spazio, per stare al passo con le attese dei migranti del centro di accoglienza e soprattutto con l’habitat in via di estinzione che è la forma sociale comunità-paese. Ma mentirei. Non avevo la più pallida idea di dove mi avrebbe portato questa avventura. E non avevo un approccio o una guida, neppure un particolare punto di vista sulla vicenda. Ero semplicemente testimone di qualcosa che richiamava la mia attenzione. E in questo mood sono rimasto per tutto il tempo delle riprese. Di mio ho portato solo curiosità e pazienza. Tanta pazienza. Forse per questo lo sguardo risulta diverso da quanto ci si aspetta, specie in Italia, quando si parla di migrazione o quando più in generale si toccano i temi cari alla politica populista.
Fidarsi dei propri occhi, un esempio da A Black Jesus
Il mio sguardo è mio. E rivendico il diritto di ciascuno di noi a ri-appropriarsi del proprio sguardo, ricominciando così a fidarsi dei propri occhi. Certo, gli occhi non bastano. Il passo successivo è la mente. E poi c’è la pancia, il cuore. Io ho la fortuna di averne fatto il mio mestiere. Ed è proprio questo ciò che mi interessa di più del cinema, la capacità di passare il testimone allo spettatore, riuscire a contagiargli curiosità e pazienza. Due armi fondamentali di pace in un mondo diviso e in perenne balìa del Dividi et impera… e se invece condividessimo, con curiosità e pazienza, i nostri sguardi e i nostri bisogni, i nostri dubbi e le nostre speranze? Non sarebbe il nostro un mondo migliore?
Il rapporto con i luoghi che abitiamo. Dove ci lega la memoria e gli affetti. Cosa hai scoperto di te stesso, durante questa esperienza?
Conoscevo Siculiana ma non conoscevo bene i Siculianesi. Grazie al film sono riuscito a colmare questo gap. In un certo senso, adesso conosco meglio anche mio padre che da Siculiana aveva preso molto del suo carattere e del suo modo di fare.
Siculiana, che è il paese d’origine di tuo padre, cosa significa per te?
Siculiana significa molto per me. Oggi più che mai. Non è stato sempre così. Oggi posso dire che Siculiana è il paese che ci voleva per me, citando Pavese. E non per il gusto di andarsene via, ma per il desiderio continuo di rimanerci, tornare, continuare a scoprirlo. Io vorrei anche pian piano contribuire al cambiamento a Siculiana. Se tra dieci anni, o chissà quando, tornerò davvero a viverci, vorrei che fosse un paese più pulito, più rispettoso dell’ambiente, con più verde e meno cemento. Quanto cemento a Siculiana… E naturalmente vorrei che Siculiana si riempisse di giovani ragazze e ragazzi, di ogni nazione e paese, dii ogni cultura e religione… vorrei diventasse un paese ricco di diversità.
Adesso tu vivi la condizione di italiano, siciliano, naturalizzato a Berlino. Cosa ti manca dell’Italia? Come la vedi da fuori?
L’Italia mi manca molto, ma ovviamente di più la Sicilia. Mi manca soprattutto la semplicità con cui è possibile instaurare rapporti umani, anche di una certa solidità. A Berlino non è la stessa cosa. Almeno io ho avuto questa esperienza finora. È difficile instaurare un’amicizia ed è ancora più difficile coltivarla. Ma forse è una cosa mia. Vero è che ogni volta che sono in Sicilia, specie d’estate, conosco sempre persone nuove, faccio amicizie, la mia vita sociale subisce un’accelerazione straordinaria.
La serata evento di Siculiana
Il film A Black Jesus è stato proiettato in una serata evento in piazza Umberto, il 25 luglio, a Siculiana. Gremita per quanto permetta il distanziamento Covid-19. Organizzata nell’ambito di Estate Mediterranea, un calendario di iniziative culturali fortemente voluta dall’amministrazione Comunale e dal Sindaco Peppe Zambito. Le sedie ordinate che partivano dal sagrato della Chiesa. Non mancava neppure la banda musicale del Paese.
I siculianesi hanno avuto occasione di rivedersi. Ovvero vedersi con occhi nuovi. E non hanno avuto paura. Anzi. Edward Zorobah ha ricevuto la sua cittadinanza onoraria. È gli è stato assegnato il premio Gaetano Lucchesi. Appena istituito dalla famiglia del regista per incentivare progetti e persone meritevoli. Un buon inizio. La scia lucente, continua a brillare.