Davide Suverato - bandiera dell unione europea

Parola a Davide Suverato. Per capire cosa accadrà domani

Abbiamo intervistato il professore Davide Suverato, ricercatore Senior presso l’ETH di Zurigo.
Stiamo vivendo un momento epocale sotto molti punti di vista. Il Covid-19 ha cambiato le nostre abitudini, ha cambiato le nostre vite dall’oggi al domani. C’è incertezza e preoccupazione per l’andamento della nostra economia.

A questo proposito volevo chiederle, il FMI ha stilato delle previsioni su come, la pandemia, influenzerà le economie nazionali e l’Italia, risulta essere una delle Nazioni più colpite. Secondo lei, a cosa è dovuta questa stima così negativa?

Purtroppo, sì, l’Italia risulta un’economia tra le più colpite. In particolare il FMI stima una perdita del 9,1% alla fine del 2020 e nel complesso una perdita superiore al 5% per quanto riguarda le economie più sviluppate. Il motivo per cui l’Italia può essere più colpita è perché arriva a questa situazione di crisi già da un periodo di stagnazione. L’economia italiana nel 2019 comunque ha portato a termine una crescita dello 0,2%. Quindi ancora prima che questa pandemia cambiasse ogni previsione. Oltre a questo aspetto, c’è anche da dire che l’Italia negli ultima anni è cresciuta, sebben poco, soprattutto grazie alle esportazioni. Se si vanno a vedere le componenti del PIL, le esportazioni sono le uniche in crescita negli ultimi 2 anni. Consumi interni e investimenti erano comunque a 0, in termini di crescita. Ecco, questa pandemia colpirà molto tutti i nostri partner commerciali, come possiamo evidentemente immaginare e, di conseguenza, quel motore che c’era stato negli ultimi anni, quel motore di crescita che erano le esportazioni verrà di molto ridimensionato. Pensiamo ad esempio che la Cina, il primo tra i vari paesi ad aver riaperto dopo un periodo di lockdown, nel mese di marzo ha ridotto le esportazioni dell’11%. Ecco, l’Italia e la Germania, che sono i principali partner commerciali, seguiranno la stessa strada. Quindi quel motore si è inceppato. Conta di più per noi perché contavamo molto di più sulle esportazioni.

Nell’UE si corre il rischio che l’isolamento sanitario forzato degli Stati membri si traduca in isolazionismo? Quali sono le possibili conseguenze economiche se si dovesse verificare questo scenario?

Sì, il rischio c’è, c’è perché una parte dei partiti che siedono nel Parlamento Europeo di matrice sovranista sta utilizzando la situazione attuale per spingere in una situazione di isolazionismo. Faccio presente che questi partiti occupano meno di un terzo dei seggi del Parlamento Europeo. Quindi, è un rischio da tenere in considerazione, ma non è imminente una svolta di questo tipo. Quali sono i costi economici, quali sarebbero i costi economici di un isolazionismo? Beh, sarebbero molto pesanti per due ragioni. Prima di tutto perché la crisi attuale non è una situazione dalla quale si esce con comportamenti virtuosi che alcuni indicano e gli altri seguono. Tutti i paesi dovranno indebitarsi per far fronte all’attuale situazione proprio perché questa crisi non è una crisi economica tradizionale ma nasce da una necessità sanitaria di mantenere le persone a casa per salvaguardarne la salute. Le economie non possono stimolare o essere stimolate dai Paesi in un qualche modo virtuoso. In questo caso c’è solo una cosa da fare: prendere a prestito ricchezza dal futuro, cioè indebitarsi. Questo lo dovranno fare tutti, anche quelli che, tra i Paesi europei, sono stati tra i maggiori falchi, tra i maggiori sostenitori del rigore. La seconda ragione è perché, come ho detto prima, le esportazioni contano non solo per l’Italia ma per tutti i Paesi europei. I nostri principali partner commerciali sono Paesi europei e noi a nostra volta siamo i loro principali partner commerciali. Quindi, se un nostro cliente o fornitore esce da questa crisi con un costo molto alto questo è un danno per tutti. Perciò, non è il momento di essere isolazionisti e sono convinto che questi conti, non dal punto di vista etico, ma semplicemente dal punto di vista del tornaconto personale, saranno chiari a tutti i Paesi membri.

Professore, lei come giudica la politica monetaria della Banca Centrale Europea finora? Crede che basterà o saranno necessarie manovre meno tradizionali come fece Draghi nel 2011?

La BCE, o meglio, la governatrice Lagard ha fatto un passo falso alla sua prima uscita, agli inizi di marzo, quando ha sostenuto intervenendo in un’intervista, che “non era compito della BCE chiudere gli spread”. Questo ovviamente è stato ripreso dai mercati come un segnale di disimpegno rispetto a quelle che saranno poi le misure da adottare. Da quel momento in avanti, invece, si è mossa bene. Già a partire da metà marzo ha messo a disposizione un piano di 750 miliardi di acquisto di titoli di stato. Questo piano, sicuramente, penso di poter dire, sarà ampliato. L’Italia sta beneficiando di questo piano di acquisti. Basti pensare che, l’Italia ha già in previsione di collocare sul mercato oltre 150 miliardi di titoli per il 2020. La quasi totalità di questi, verrà acquistata dalla BCE. La Banca Centrale Europea sta facendo la sua parte come Draghi fece a suo tempo. Non credo sia il caso di fare parallelismi, perché la situazione, purtroppo, è anche molto diversa da quella di allora. Bisogna, però, capire fin da subito, che la Banca Centrale da sola non può bastare. E non è una questione di quanti soldi metta a disposizione. È una questione legata proprio al tipo di strumenti. La BCE sottoscrive il debito dunque, tutti gli acquisti da parte della BCE vanno ad aumentare il debito di uno Stato, l’Italia o altri. Inoltre, la BCE, per mandato, non può continuare a compare titoli solo di alcuni Stati. Dovrà prima o poi riequilibrare il proprio portfolio, quindi, è una misura temporanea questo intervento. Saranno i Paesi, con le loro politiche fiscali, a intervenire per uscire da questa crisi.

Tra poche ore si terrà il Consiglio Europeo per discutere degli aiuti in arrivo dall’UE. Ci può anticipare qualcosa?

Sì. Il Consiglio Europeo del 23 aprile sarà davvero una battaglia fondamentale. Non mi piace spesso andare in questi schieramenti, però questo è il caso. Vi saranno due schieramenti: quello dei Paesi che usciranno da questa crisi con un debito inferiore grosso modo al 100% del loro PIL. Sono i Paesi del Nord Europa capitanati dalla Germania. E quei Paesi che, invece, usciranno da questa crisi con un debito superiore al 100% del loro PIL, quindi Sud Europa e Francia. Questa è l’importante novità rispetto a chi ha in mente l’asse franco-tedesco degli ultimi anni. Ecco, questo asse si è rotto sui numeri. Nel senso che, la Francia uscirà da questa crisi con un debito superiore al 100% del proprio PIL. Quindi, ha degli interessi più vicini a quelli dei Paesi del Sud Europa. Cosa verrà discusso? La cosiddetta “solidarietà europea” non è in discussione. I programmi attuali già in essere: quello della BCE che ricordavo, ma non solo; la Banca Europea degli investimenti che vuol dire 200 miliardi di garanzie; il SURE che è una sorta di assicurazione alla disoccupazione pagata da fondi europei, e il MES, nonostante sia molto dibattuto, sono strumenti che già ci sono. Quello che verrà discusso il 23 aprile è uno strumento diverso. Il Recovery Fund si differenzia dagli altri precedenti perché il principio di questo meccanismo dovrebbe essere il seguente: la Commissione Europea utilizza il bilancio proprio, quindi un bilancio a cui hanno partecipato tutti i membri dell’UE per emettere titoli di debito. Quindi, è la Commissione Europea che si indebita utilizzando il bilancio proprio. E poi, parte di questi debiti viene trasferita come liquidità agli Stati membri. Ma a quel punto, questa liquidità non è debito; fa parte dei trasferimenti interni tra membri della Commissione Europea. Ecco perché, la grande partita è tra coloro che hanno già un grande ammontare di debito e coloro che hanno un debito ancora al di sotto del proprio PIL. Perché sopra la cifra psicologica del 100% del debito su PIL un’ulteriore quantità di debito diventa molto più costosa e addirittura insostenibile per i Paesi. Il meccanismo Recovery Fund, se verrà approvato, invece, consentirà di affiancare alle misure della BCE, che continueranno, questo è importante dirlo, sono cose separate, ad affiancare le misure delle BCE quest’ulteriore liquidità disponibile per gli Stati, che verrà finanziata direttamente dalla Commissione Europea, con il proprio rischio come emittente, e non sarà contabilmente sul bilancio, sul debito dei singoli Stati.

Professore chiudiamo con una domanda sul futuro dell’Italia. Secondo lei, quali saranno in Italia i settori che avranno una ripresa più rapida e duratura?

Allora, è molto difficile dirlo anche perché i dati che abbiamo adesso non sono completi. Teniamo presente che i precedenti due mesi sono mesi in cui abbiamo visto metà dell’economia in lockdown e l’altra metà che non era in lockdown, comunque era in una situazione di lavoro distanza che vuol dire produttività più bassa e inefficiente. Quindi è difficile misurare sulla base dei dati disponibili. L’occasione che ha l’Italia per uscire da questa crisi è quella di riappropriarsi della parola “investimento”. Cioè, noi saremo sicuramente aggravanti da un debito senza precedenti. Ecco, se questo debito verrà utilizzato per pagare spesa corrente, per tamponare perdite correnti, perderemo l’ennesima occasione. Utilizziamo questo debito per investire in infrastrutture. Certo, infrastrutture dal punto di vista sanitario perché l’emergenza ce lo impone. Ma non solo dal punto di vista sanitario. Utilizziamo questo debito per riposizionare l’Italia nella catena del valore globale, cioè metterla in condizione di competere con partner commerciali e non andare semplicemente al traino della Germania e poi della Cina, com’è successo negli ultimi anni. Se verrà trasformata l’Italia in un’economia che non dipende tanto dalle esportazioni ma che riuscirà grazie agli investimenti a crescere per domanda interna allora vedremo una via di uscita che ci collocherà in una posizione migliore di come siamo entrati in questa crisi. E i settori che ci indicheranno se questa via è stata percorsa sono sicuramente il settore delle infrastrutture, in particolare quello delle telecomunicazioni, e quello dei servizi. L’Italia, rispetto agli altri Paesi Europei, è ancora trainata in misura ampiamente maggiore dalla manifattura. Ecco, gli investimenti nei servizi, nei servizi alle imprese e alle persone, sono quei settori che ci diranno che l’Italia sta finalmente percorrendo la via di una specializzazione più proficua e redditizia.

Concludiamo dicendo che potrebbe essere per l’Italia una buona opportunità per essere e diventare ancora meglio di prima

Sì, diciamo che dovendo sostenere dei costi per cambiare il proprio sistema produttivo, è meglio sostenerli quando questi costi li devono sostenere tutti, in questa logica in cui è una crisi che ha colpito tutti, compresi i nostri concorrenti e i nostri partner commerciali, noi sappiamo che loro si rimodernizzeranno, riusciremo anche noi a fare altrettanto? Riusciremo anche noi a cambiare il modo di produrre e di vivere? Forse sì. Non ci riusciremo entro quest’anno, perché i conti sono quelli che sono. Ma il Fondo Monetario ci dice che nel giro di 3 anni questa crisi verrà assorbita e potremmo vedere come è stata assorbita. Con una crescita o tornando di nuovo a crescere allo zero e qualcosa percento?! Ecco, io mi auguro con una crescita vera.

È bello chiudere quest’intervista con questa nota positiva, grazie professore

Grazie a lei.

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